Home » News da Way2Global » Servizi Linguistici » Come si traduce “smart working”?
La pandemia ci ha costretti a una rigida quarantena: isolamento forzato nelle nostre case, contatti limitati e spostamenti ridotti al minimo. Qualche azienda si è dovuta fermare completamente, altre sono riuscite a proseguire in continuità, benché con il personale costretto ai domiciliari e a quello che ci piace definire “smart-working”.
Lo smart working viene impropriamente identificato col “lavoro da casa”, ossia la modalità operativa che la maggior parte delle aziende in forza dei decreti governativi sta adottando per i propri dipendenti in questo momento di emergenza.
Il telelavoro, o “home working”, pur essendo una soluzione comoda, non ha però nulla a che vedere con il concetto di “lavoro intelligente” o “lavoro agile”: è un’improprietà traduttiva in piena regola.
Improprietà che, nella nostra veste di puristi della lingua e precursori di smart working come modello organizzativo, non possiamo accettare.
Vogliamo quindi provare a raccontarvi cosa significa smart working, sia dal punto di vista concettuale e di organizzazione del lavoro, sia nella nostra esperienza lavorativa di laboratorio di sperimentazione in stato beta permanente che ci vede ogni giorno impegnati a spingere più in là la frontiera dell’innovazione sociale.
L’obiettivo è quello di mostrarvi la forza del suo impatto positivo: questo modello organizzativo segna una vera e propria rivoluzione del concetto di lavoro, che ne rigenera e ne attualizza il senso che gli conferiamo noi oggi, evolvendolo e adattandolo alla realtà che viviamo, a prescindere dalla pandemia.
Come la Rivoluzione Francese, anche la quarta rivoluzione industriale può riassumersi in tre parole chiave: “flessibilità, responsabilità e tecnologia”.
Flessibilità di tempi e spazi: lo smart working non conosce rigidità temporale e logistica, ma si sposta e si organizza nel tempo e nello spazio in base alle necessità delle persone, agli obiettivi, al contesto operativo e a una serie di altre variabili. Senza cartellino da timbrare e senza orari da ufficio, gli smart worker hanno la facoltà di gestire le loro giornate, bilanciando il rapporto vita-lavoro in funzione delle reali necessità. Non sono le ore che contano, ma gli obiettivi da raggiungere il metro di misura dell’attività lavorativa.
Responsabilità degli smart worker di organizzare il proprio lavoro, le modalità per raggiungere gli obiettivi e portarli a termine in tempi, spazi e mezzi definiti in autonomia. Una responsabilità che scaturisce dalla fiducia dell’azienda nei loro confronti, e che genera di riflesso un clima di trasparenza, di benessere del singolo e della comunità, con un conseguente aumento della produttività.
Tecnologia, il fattore abilitante di questa modalità di lavoro intelligente. Il digitale è la chiave che attiva relazioni e collaborazioni a prescindere dalle distanze, abbatte le barriere di tempo e spazio, e realizza una nuova dimensione che solo qualche anno sarebbe stata impensabile.
Ecco, questo a grandi linee è lo smart working, e queste sono le fondamenta su cui poggia la nostra realtà aziendale. Un concetto ben diverso, quindi, dal telelavoro, che pur assicurando la comodità del lavoro da casa, resta ancorato alla rigidità di tempi e spazi, e non integra le dimensioni nobili della fiducia, della responsabilizzazione, e della libertà di scelta. Un modello, quello del telelavoro, che resta ancorato a schemi di lavoro tradizionali, anti-innovativi, che spesso risultano deboli in termini di competenze e mezzi.
Non è cosa semplice perchè, oltre alla centralità delle tre parole chiave, non esiste un paradigma universale. Ogni azienda, ogni impresa, ogni società è una realtà a sé e deve necessariamente trovare una soluzione su misura – questo rientra nel concetto di “intelligente”.
Diventare smartsignifica ripensarsi: cambiare la cultura aziendale, ribaltare gli organigrammi, aprirsi a nuove soluzioni, innovarsi in continuo, e non solo dal punto di vista tecnologico. Per fare dello smart working il proprio modello operativo, un’azienda deve dare fiducia, ma anche i mezzi necessari: aprire canali di condivisione e comunicazione, strutturare piattaforme e fare formazione affinché questa modalità di lavoro non sia recepita come un’imposizione dall’alto, ma diventi mentalità aziendale consapevole, condivisa e apprezzata da tutti gli stakeholder.
Oneri non indifferenti, che portano però con sé benefici altrettanto importanti: dal più “banale” ma innegabile risparmio sui costi fissi dell’azienda, al benessere e alla felicità dei dipendenti, con conseguente incremento di produttività; e dall’attrattiva sul mercato alla creazione di un ambiente collaborativo, digitalizzato, agile e dinamico, pronto a rispondere a ogni necessità con flessibilità, rapidità e innovazione.
Lato lavoratori, i vantaggi sono evidenti: la possibilità di gestire il proprio tempo, di riprendere in mano la propria vita e organizzarla in base alle proprie necessità personali; il sentirsi responsabili di sé stessi e dei propri obiettivi, motivati da un rapporto fiduciario e di trasparenza, anziché vincolati a imposizioni e controlli.
Un’impostazione aziendale “intelligente” è ciò che permette alle imprese di sopravvivere nelle situazioni di crisi e di superare agilmente avversità e imprevisti. La chiave di volta è la capacità di adattarsi al contesto e innovarsi costantemente, perché cambiamento e sperimentazione sono nel DNA di queste aziende.
Questo è il modello di business con cui siamo cresciuti noi, in Way2Global. Un modello che ci consente oggi, con la crisi Covid-19 e il lockdown, di proseguire nella nostra attività con pronta riconfigurazione delle operations, assicurando la continuità del servizio a clienti e collaboratori.
E questa è la narrazione della nostra esperienza, la testimonianza che vogliamo mettere a fattore comune affinché possa ispirare tutte le aziende a tradurre quella che è la parola del momento, lo smart working, nella realtà lavorativa evoluta del futuro.
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